Avventure di una giornalista nella Londra vittoriana

di Elizabeth L. Banks

Quando, poco più di un anno fa, arrivai a Londra con una bandiera a stelle e strisce in tasca, non avevo alcuna intenzione di rimanerci tanto a lungo da fare esperimenti approfonditi nel campo del newer journalism. Avevo solo fatto un salto in Inghilterra per visitare l’Abbazia di Westminster, la Cattedrale di St Paul e la Torre, con l’intenzione di tornare a casa e scrivere le mie impressioni su Londra e i londinesi. “Non dimenticare che sei americana e che stai andando in Inghilterra solo per mettere a confronto l’inferiorità di quel paese con la superiorità del tuo”, furono le parole di commiato pronunciate da un direttore americano quando lasciai New York.

Hyde Park nel 1898

Per un certo periodo di tempo dopo il mio arrivo, non solo non mi dimenticai mai di essere americana, ma mi preoccupai, in modo particolare, che nessun altro lo dimenticasse. Sventolavo la bandiera a stelle e strisce in ogni possibile occasione e sospiravo per avere un’opportunità di difendere il mio paese. L’opportunità non tardò ad arrivare. Ero a Londra da poco più di due settimane quando le critiche all’America di Rudyard Kipling apparvero sul Times. Il mio sfogo patriottico, che intitolai An American Girl’s Reply to Mr. Kipling apparve sullo stesso giornale pochi giorni dopo e lo Zio Sam m’inviò le sue congratulazioni da oltreoceano. Quello fu l’inizio della mia carriera giornalistica a Londra, una carriera che non è stata priva di piaceri, ma anche di duro lavoro.

Dopo qualche mese, Londra cominciò ad piacermi così tanto che decisi di fermarmi più a lungo, per studiare qualcosa di più dell’“inferiorità” che il mio patriottico collega americano mi aveva raccomandato di cercare. Così, appesi la mia bandiera nell’ingresso, dove potesse essere vista senza risultare troppo invadente, e rivolsi la mia attenzione al lavoro attivo. Quando scrissi In Cap and Apron, per il Weekly Sun, decisi di non dire nulla sulla mia nazionalità e, correggendo le bozze, pensai di aver depurato il racconto di ogni americanismo. Ma, ahimè! furono i wash-bowls e le pitchers a tradirmi. “La signorina Banks è capace di usare un inglese corretto, visto che scrive bowl invece di basin e pitcher invece di jug?”, scrisse una matrona infuriata a uno dei giornali, e il direttore del Weekly Sun fu severamente criticato per aver permesso che una “volgare americana” apparisse sulle sue colonne. Un’altra signora sentenziò che dovevo essere una persona dai gusti stranamente carnivori per pretendere una colazione a base di carne, il che portò a una lettera da parte di un altro, che sosteneva che dovevo provenire dall’America, una terra dove gli abitanti facevano colazione con costolette, bistecche e focacce di grano saraceno.

Molte lettere giunsero a me personalmente: alcune da signore che sembravano credere che fossi venuta a Londra per aizzare la servitù contro le padrone, e mi fu chiesto di tornare in America prima di scatenare un’insurrezione. D’altra parte, i servi mi consideravano una sorta di nuovo Mosè, venuto a liberarli dalle grinfie dei loro oppressori, e le lettere di congratulazioni che alcuni di loro mi inviavano erano piuttosto divertenti. Dopo aver terminato la descrizione della mia vita a casa della Signora Allison e aver iniziato a scrivere delle mie esperienze a casa della Signora Brownlow (inutile dire che, in ogni caso, non ho scritto i veri nomi o gli indirizzi di queste persone), tutti si voltarono. Le padrone conclusero che, dopotutto, non ero poi così male; mentre la servitù mi insultava perché l’avvertivo che era sbagliato “protestare e non denunciare”. Una cameriera, infuriata, scrisse che aveva intenzione di suggerire che venissi nominata funzionaria della Domestic Sevants’ Protective League, ma ora mi sarebbe stato negato quell’onore, poiché ogni “servitore perbene” di Londra era mio nemico.

Mentre raccontavo le mie esperienze come domestica e cameriera, la signora Allison e la signora Brownlow ricevettero manifestazioni di conforto da più parti, anche se mi sembrò che la compassione fosse sprecata, poiché nessuna delle due era oggetto di pubblica pietà come qualcuno immaginava. La Signora Allison, in particolare, era vista come una donna profondamente ferita, una sorta di martire, “massacrata” – disse uno scrittore – “per fare una vacanza giornalistica”. Per quanto ho potuto sapere, il mio impiego di cameriera a casa della signora Allison non ha avuto gravi conseguenze. Certo, il lavaggio dei panni è stato tristemente trascurato durante il mio régime, ma per il resto i compiti non sono stati svolti poi così male.

 A chi capisce quanto sia piccolo il mondo non sembrerà strano che la Signora Allison e io abbiamo delle conoscenze in comune. Di recente, un’amica mi ha invitato ad accompagnarla a un pomeriggio domenicale salottiero, dove mi era stato assicurato che sarei stata accolta da un’affascinante padrona di casa e avrei incontrato persone molto piacevoli. La casa in cui mi avrebbe portata era quella della Signora Allison, in Portman Square! Sentendo quel nome, mi sono improvvisamente ricordata che stavo “scrivendo contro il tempo” e che il tipografo stava aspettando le copie.
Ho incontrato diverse volte la mia ex padrona e le sue figlie per strada e a teatro eravamo spesso vicine di posto; ma il mio si è rivelato un buon travestimento e dubito che mi avrebbero riconosciuto se non fossi apparsa loro con berretto e grembiule. I Brownlow mi perdonarono per l’inganno che gli avevo inflitto e poi andarono in America a recuperare le loro fortune, che – disse il signor Brownlow – avevano sofferto notevolmente a causa degli errori dell’amministrazione di Grover Cleveland.
Le critiche stimolate dai miei articoli in Cap and Apron furono lievi, se paragonate a quelle suscitate dalla comparsa, sulla St. James’s Gazette, della serie The Almighty Dollar in London Society. Non sono ancora in grado di capire come me le sia meritate. Mi sono sentita un po’ nella posizione dello sfortunato gatto che annegò per mano del crudele Johnnie Green, benché, secondo la filastrocca: “It never did him any harm, / But caught the mice in his father’s barn”.

Elizabeth L. Banks, Campaigns of Curiosity. Journalistic Adventures of an American Girl in London, Chicago-New York, F. Tennyson Neely, 1894.

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