Aristotele in catene: il lamento dei libri contro le guerre

Il Lamento dei libri contro le guerre è forse uno dei momenti narrativi più intensi del Philobiblon, celebre trattatello sulla bibliofilia, concluso da Richard de Bury, vescovo di Durham, il 24 gennaio 1344.

Nella Querimonia librorum contra bella, sapere degli antichi e sapienza dei cristiani, custoditi nei libri e difesi dalla retorica, sono minacciati dalla furia devastatrice della guerra. Certo, l’abile diplomatico Richard, raffinato collezionista alla ricerca di codici da salvare, sa bene che, in realtà, i volumi hanno molti avversari, come chierici, monaci o frati, ma solo la guerra annienta vasa rationis: solo la guerra nuoce ai libri più di qualunque pestilenza: Certe non sufficimus singulos libros luctu lamentari condigno, qui in diversis mundi partibus bellorum discrimine perierunt.

Quot labores celebris Herculis andarono distrutti nell’incendio della biblioteca di Alessandria e quot millia millium prelium decennale troianum ab hac luce transmisit! L’eco di questa celebre querimonia è giunta fino a noi, mantenendo inalterati il pathos bibliofilo, l’efficace impalcatura ermeneutica, strutturata intorno ai classici, e la consapevolezza che quisquis igitur se fatetur veritatis, felicitatis, sapientie vel scientie, seu etiam fidei zelatorem, librorum necesse est fateatur amatorem.

Viva e percettibile nei secoli è rimasta anche la vibrante, esemplare tensione civile del testo trecentesco, come hanno dimostrato i bibliotecari italiani impegnati nel ricovero dei materiali rari e di pregio durante la seconda guerra mondiale.

Libri e guerra in Italia fra 1936 e 1945

Fin dal 1936, l’amministrazione statale aveva disciplinato la tutela del patrimonio librario in caso di guerra, ponendo particolare attenzione ai pericoli che i libri avrebbero potuto correre nel corso di attacchi aerei (vedi, in particolare: La ricostruzione delle biblioteche italiane dopo la guerra 1940-45, I-II, Roma, [s.d.]). Vennero così impartite a direttori di biblioteca e soprintendenti precise disposizioni “circa la scelta e lo spostamento del materiale bibliografico”. Il materiale venne così suddiviso in tre gruppi: A (esemplari indispensabili, monumenti del pensiero umano: per questo dovevano essere trasferiti in luoghi decentrati e sicuri), B (libri che, pur non avendo grande pregio, destavano comunque interesse), C (opere ritenute di modesto valore, anche se, in molti casi, ampiamente diffuse fra gli utenti). A partire dal 1939, su incarico della Direzione Generale delle Accademie e Biblioteche d’Italia, l’ispettore Luigi de Gregori individuò gli edifici nei quali ricoverare il delicatissimo materiale del gruppo A, privilegiando complessi religiosi e monumentali defilati rispetto ai grandi centri abitati, lontani da obiettivi ritenuti sensibili ein buono stato di conservazione. Vennero scelti undici siti: Pontida, Torrechiara, Carceri, Passignano, Subiaco, Loreto, Martano, Bronte, Polizzi Generosa, Cagliari, Castelletto d’Orba. Il “Castello Crosa a Bellimbau in Castelletto d’Orba (Alessandria)”, dal giugno 1940, ospitò i fondi della Biblioteca Nazionale di Torino e della Biblioteca Universitaria di Genova. Nonostante le misure preventive adottate dal Ministero, le difficoltà gestionali, connesse alla particolare tipologia degli oggetti e alla precarietà della situazione, furono comunque inevitabili. Gli sviluppi della guerra, inoltre, condizionarono le misure di tutela dei fondi librari decentrati. Come nota Giorgio de Gregori (Le biblioteche italiane durante la guerra 1940-1945, in “La Bibliofilia”, C, 1998, 1, p. 29), soprattutto dopo lo sbarco e l’armistizio, l’ottica difensiva adottata fino a quel momento conobbe un “radicale capovolgimento”.

Con i tedeschi alla ricerca di località isolate, l’intensificarsi dell’attività partigiana e il nuovo ruolo assunto da alcune grandi città (Napoli, Roma, Firenze, Venezia), ora più sicure, si ebbe infatti un preoccupante innalzamento dell’indice di pericolosità per molte biblioteche italiane, mentre in altri casi la politica preventiva, impostata dal Ministero e attuata da validi funzionari, si rivelò efficace.

Ad esempio, la Biblioteca Universitaria di Genova, bombardata nell’ottobre 1942 e nel maggio 1944, risultò indenne per quanto riguardava tutto il materiale librario da tempo collocato in protezione antiaerea, oltre al materiale sfollato che, nel 1946, rientrò in sede. Conseguenze più serie subì, invece, la Biblioteca Nazionale di Torino, nonostante si fosse mossa a difesa del patrimonio librario fin dall’autunno 1938. L’8 dicembre 1942, una bomba incendiaria devastò infatti cinque magazzini. La guerra costò anche trecento legature di pregio, 16.736 incisioni, centocinquanta fotografie e, circa diecimila carte geografiche.

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